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Il classico letterario di Victor Hugo, I miserabili, racconta la storia di Jean Valjean, la cui vita già difficile è rovinata da quell’unica decisione di rubare una pagnotta per sfamare i figli di sua sorella. In conseguenza di ciò, passa i diciannove anni successivi nel famigerato bagno penale di Tolone. Dopo il rilascio, impossibilitato a trovare lavoro perché ex-galeotto, Valjean mendica aiuto dal vescovo di Digne, che lo sfama e gli offre un letto per la notte. Valjean, disperato per quello che sembra un futuro estremamente squallido, cede alla tentazione e ruba parte dell’argenteria del vescovo, scomparendo nella notte.
Non arriva molto lontano, però, prima di essere arrestato e trascinato di fronte al vescovo. Sapendo quel che succederà a Valjean se fosse condannato di nuovo, il buon vescovo accetta il rischio e dice ai poliziotti: «L’argenteria gliel’ho data io».
Valjean è libero dalle conseguenze legali della sua azione, ma non ancora dalle sue cattive abitudini. Dopo un altro furto, è spinto a un punto di decisione e questa volta si pente. Da quel momento è un uomo nuovo. Passa per altri sconvolgimenti e affronta altre decisioni difficili negli anni a seguire, ma rimane fedele al nuovo corso che Dio l’ha aiutato a seguire.
I miserabili è un ritratto commovente del potere di redenzione dell’amore divino, ma illustra anche come le nostre vite sono plasmate dalle decisioni che prendiamo. Perfino quelle apparentemente più insignificanti possono avere grandi conseguenze. Come possiamo assicurarci di prendere le decisioni giuste? L’unico modo di farlo è coinvolgere Dio nel processo decisionale, perché solo Lui sa cos’è meglio. Vuole vederci prendere decisioni buone ed è sempre pronto ad appoggiarci quando lo facciamo. La decisione più intelligente che possiamo prendere è quella di chiedere il suo aiuto. Per gentile concessione della rivista Contatto. Immagini da http://lesmiserablesshoujocosette.wikia.com/wiki/The_Silver_Candlesticks
Elsa Sichrovsky
Al primo anno di università, una delle cose che mi piaceva di meno erano le lezioni di educazione fisica, che erano obbligatorie ma non davano crediti aggiuntivi. Gli studenti erano tenuti a seguire quei corsi per quattro semestri consecutivi. Odiavo la sensazione di lavorare per niente. Per di più ero proprio fuori dal mio elemento in educazione fisica. Il primo era un corso base di badminton. La mia insegnante sorrise nel vedere i miei primi colpi e capii subito che era un sorriso di divertimento piuttosto che d’ammirazione. Avrei preferito passare quel tempo sopra un libro o a rispondere a un test, invece di sudare mentre cercavo d’imparare le manovre fondamentali che le altre studentesse conoscevano già. Quell’anno, mi stavo lamentando con un’amica che non aveva mai avuto la possibilità di andare all’università. Sentendo le mie lamentele, ha esclamato: «Di cosa ti lamenti? Molta gente deve pagare un sacco di soldi per imparare a giocare a badminton con un insegnante professionista. E tu puoi farlo ogni settimana come parte dei tuoi studi? Sono invidiosa!» L’ho fissata, troppo scioccata per rispondere. Quel corso che per me era una croce, per lei era una delizia speciale di cui era invidiosa! Mi sono resa conto che avrei potuto continuare a lamentarmi come una bambina durante quei due anni di educazione fisica, o avrei potuto alzarmi dalla mia poltrona libresca, per così dire, e farmi dei muscoli. Invece di pensare solo al fatto che non avrei ricevuto crediti per quei corsi, potevo concentrarmi sul fatto che mi avrebbero dato l’opportunità di imparare uno sport da un professionista.
Il commento della mia amica mi ha spinto a esaminare la mia reazione ad altri aspetti poco attraenti della vita universitaria – il menù della mensa, i criteri di giudizio dei miei professori, gli esami la mattina presto – e ho scoperto con imbarazzo che le mie lamentele provenivano da una mancanza di fiducia nell’amore di Dio nei miei confronti e nella sua perfetta saggezza. Non avrei potuto mettere in pratica l’ammonizione di Paolo a «ringraziare per ogni cosa» finché non avessi imparato a vedere ogni seccatura come un gioiello dell’amore di Dio in incognito.
Alla fine del semestre, non solo avevo imparato a giocare a badminton, ma avevo anche migliorato la mia coordinazione dei movimenti e la mia resistenza fisica in genere. Soprattutto, ero diventata più consapevole dei momenti in cui presto così tanta attenzione a una brutta confezione da non riuscire a vedere il regalo. Come disse il poeta tedesco Johann Wolfgang von Goethe: «A rendere felice la vita, non è il fare le cose che ci piace fare, ma farci piacere le cose che dobbiamo fare». Immagini disegnate da Freepik. Storia per gentile concessione della rivista Contatto.
A New Year's allegory for children / Uma allegoria di Capodanno per bambini
L’anno nuovo è il momento ideale per fare un bilancio di quello appena passato e stabilire degli obiettivi per il prossimo. Ecco un esercizio spirituale adatto allo scopo. (Avrai bisogno di una candela grande e di una piccola).
Comincia con l’accendere una candela grande, che rappresenta Gesù, la luce del mondo. Medita su questi versetti della Bibbia: «Io [Gesù] sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». (Giovanni 8,12) «Tu infatti, sei colui che fa risplendere la mia lampada; l’Eterno, il mio Dio, illumina le mie tenebre». (Salmi 18,28) Usa la candela grande per accendere quella piccola che rappresenta te. Dedica alcuni minuti a riflettere sull’anno passato. Prendi in considerazione queste tre aree della tua vita: gli studi, la famiglia e i rapporti con parenti e amici, la vita personale. Di che cosa sei più grato, in ciascuna di queste aree, tra le cose successe nello scorso anno? Potrebbero essercene diverse; ringrazia Dio per ognuna. Potresti anche annotarle per ricordartele in futuro. Dedica un paio di minuti a riflettere sull’anno venturo, pensando a quelle tre aree: quali sono le tue preghiere o le tue aspirazioni per l’anno entrante? Scrivile sotto forma di preghiera o di elenco, per poterle rivedere durante l’anno e ricordarti di ringraziare Dio ogni volta che ti risponderà. Puoi fare questo esercizio anche con la tua famiglia o i tuoi amici, con alcune modifiche: Accendi la candela grande, leggi i versetti biblici citati in precedenza e discuteteli insieme. Ciascuno dedichi qualche minuto a pensare alle cose dello scorso anno di cui è più grato e a scriverle su un foglio di carta, poi qualche altro minuto a pensare alla propria preghiera per l’anno entrante. (Se sono stati avvertiti in precedenza, tutti potrebbero preparare l’elenco in anticipo e così dedicare più tempo alla riflessione). Poi, una per volta, ogni persona accende la propria candela e legge o spiega agli altri cosa l’ha resa più grata lo scorso anno e qual è la sua preghiera per l’anno nuovo. Immagine progettata da Freepik. Articolo adattato dalla rivista Contatto. Usato con il permesso.
Joyeux Noël racconta la storia di un fatto ben documentato, avvenuto su un campo di battaglia in Francia la vigilia di Natale del 1914.
Su una delle linee di trincea della Grande Guerra si fronteggiavano circa tremila soldati, tra scozzesi, francesi e tedeschi. La vigilia di Natale, nelle trincee tedesche cominciarono a cantare “Astro del ciel” (Notte silente). Gli scozzesi risposero con un accompagnamento di cornamuse e ben presto i soldati di tre eserciti diversi cominciarono a cantare all’unisono dalle loro trincee, situate a cento metri di distanza. Immaginateveli a cantare insieme, in tre lingue, dalle stesse trincee dove alcune ore prima si uccidevano a vicenda. Che contrasto! Invitati alla pace dal calore di questa canzone amata da tutti, le parti in lotta si avventurarono fuori dalle trincee e decisero una tregua non ufficiale. In alcuni posti lungo la linea la tregua di Natale durò dieci giorni. I nemici si scambiarono foto, indirizzi, cioccolato, champagne e altri piccoli regali. Scoprirono di avere più cose in comune di quanto si rendessero conto, compreso un gatto che passò più volte da una parte all’altra e fece amicizia con tutti e che entrambi gli schieramenti adottarono come mascotte. I nemici di prima comunicarono come meglio potevano nella lingua dell’altro. Il comandante tedesco, Horstmayer, disse al tenente francese Audebert: “Quando conquisteremo Parigi sarà tutto finito. Allora potrà invitarmi a bere a casa sua in rue Vavin!” “Non si senta obbligato a invadere Parigi per venire a bere a casa mia!” replicò Audebert.
L’amicizia che si sviluppò tra i belligeranti andò oltre le semplici piacevolezze. La mattina dopo che la tregua di Natale finì, i due schieramenti si avvisarono a vicenda dei bombardamenti che sapevano che stavano per arrivare dalle loro unità di artiglieria. Il loro nuovo senso di cameratismo fu tanto forte che entrambi arrivarono ad ospitare nelle loro trincee i soldati dell’altra parte per proteggerli.
Che cosa operò questa incredibile trasformazione? Cominciò tutto con il comune amore per la musica di Natale. Questo incidente ci ricorda che esiste una cura alla guerra ed è quella di smettere di demonizzare i nostri nemici ed imparare ad amarli, come ci comandò Gesù (vedi Matteo 5,44). Tutti hanno bisogno di amare ed essere amati. Se ciascuno di noi facesse uno sforzo per imparare a conoscere altre persone con le quali ci sembra di non avere molto in comune, potremmo scoprire, come i soldati su quel campo di battaglia, che abbiamo più cose in comune di quel che pensiamo. Testo per gentile concessione della rivista Contatto. Usato con permesso. Immagini tratte dal film Joyeux Noel (Buon Natale).
Elsa Sichrovsky
«Per quanto ti sia preparata prima», mi avvertì la mia amica, «il primo giorno di università sarà sempre un’esperienza impressionante». Non ero sicura perché pensasse che una cosa innocua come l’università potesse farmi impressione, ma le ho detto che, dato che me l’ero cavata bene al liceo, ero certa che sarei andata bene anche all’università. Sono uscita dalla fermata della metro con in mano la cartina della città universitaria e mi sono diretta con decisione verso quella che speravo fosse la direzione giusta per andare alla mia prima lezione. Non ho mai capito bene come usare una cartina e non presto mai molta attenzione alle indicazioni stradali. Ho finito per girare inettamente per due ore in un’area in cui ci sono undici facoltà. Alla fine ho trovato la mia aula, quindici minuti prima della fine della lezione. Mi sono seduta, stanca morta, e mi sono tornate in mente le parole della mia amica. Dopo aver chiesto informazioni ad alcuni dei miei colleghi, sono riuscita a trovare la classe successiva, un corso introduttivo di linguistica. Su una panchina fuori dall’aula era seduta una donna, con una camicetta sportiva e dei jeans larghi. Ho immaginato che fosse un’inserviente e sono entrata nell’aula, dove una donna che indossava camicetta, gonna nera e tacchi alti stava scrivendo sulla lavagna. La professoressa, ho pensato. Ha fatto un breve test orale alla classe e un piccolo sondaggio. Poi la porta si è spalancata ed è entrata la donna in jeans, che si è presentata come la professoressa (ed eminente linguista) Lee. Poi è passata a presentare la sua assistente – la donna con la gonna elegante! Ci sono state altre sorprese nella lezione successiva, un’introduzione alla letteratura occidentale. Ho ascoltato attentamente date, fatti e cifre, e ho preso diligentemente degli appunti. Alla fine ho scoperto che non serviva a niente. Dopo la prima ora mi sono ritrovata in un gruppo di dieci sconosciuti incaricati di produrre una rappresentazione, completa di musica, costumi, palcoscenico ecc. – in due sole settimane! Naturalmente, entro la fine del semestre sapevo dove trovare gli angolini più comodi per studiare; la rappresentazione del mio gruppo è riuscita benissimo e ho imparato che i professori si vestono come gli pare. Ripensando mestamente alle mie paturnie da matricola, mi rendo conto che non saranno certamente le mie ultime esperienze da novellina. Anche se possono essere scomode, sono queste le situazioni che possono aiutarmi ad acquistare coraggio e imparare a vivere senza tutte le mie reti di sicurezza e i miei supporti. E per giunta, la maturità acquisita durerà di più dell’imbarazzo dovuto ai miei errori di matricola. Cortesia della rivista Contatto. Immagine disegnata da Freepik. |
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